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IL LIBRO

 

 

Prefazione dell'attrice Laura Curino

 

Camillo Olivetti riesce sempre a spiazzarti.  Ti fa cambiare programma, detta i tempi e i modi. Ora suscita simpatia, con quella sua indole energica e fattiva. Ora ti sfinisce, con quella sua cocciuta insistenza. Non molla l’osso.

Studiavo la vita di Adriano Olivetti per farne un testo teatrale e dunque era inevitabile incontrassi suo padre, Camillo. Quello che non mi aspettavo era di esserne irretita al punto…da cambiare idea e far prima uno spettacolo su di lui.

Avevo già perso molto tempo. Mi ero accostata alla storia Olivetti con lo spirito critico di chi diffida di tutto e di tutti, cercavo di destrutturarla e di smontarne la leggenda (senza peraltro riuscirci) e invece diventavo ogni giorno più consapevole di trovarmi di fronte ad una esperienza unica ed esaltante,  e sempre più vicina al rischio di farne una agiografia per la scena.

Non potevo permettermi di ritardare l’uscita dello spettacolo, ed ero irritata da me stessa perché…volevo scrivere di Adriano e invece continuavo a tornare indietro nel tempo, a cercare nuove fonti per approfondire la figura di Camillo.

Ma che ci potevo fare? Dalle pagine e dalle testimonianze emergeva un suo ritratto sempre più preciso e una volta superati gli aspetti più evidenti e curiosi del suo carattere, l’importanza  del suo pensiero, del suo punto di vista sul futuro, delle sue azioni si faceva tale, che rimandai il lavoro su Adriano e mi dedicai a Camillo, le fondamenta di quella che sarebbe stata la Olivetti, la fabbrica diversa da tutte le altre.

E Camillo, comunque io fossi intenzionata a dipingerlo, a un certo punto mi ha levato di mano l’immaginario pennello e si è dipinto da se.

Quando - diversi anni dopo l’andata in scena degli spettacoli - Tito Giraudo, mi parlò del suo progetto di ricerca e scrittura, lo fece con spirito battagliero e, se pure con qualche timore di farsi sovrastare dalla materia, manifestava idee ben chiare su tempi e modalità, fiero di voler affrontare l’impresa da un punto di vista molto personale e con alcune questioni ben delineate che si proponeva di sviscerare.

Mi propose anche generosamente di fare in qualche modo parte del progetto, cosa impossibile da conciliare con i miei impegni teatrali. Parlammo a lungo, di fonti, di immagini, di strutture. Poi Tito sparì, immerso nel suo progetto. Ricordo di aver pensato che Camillo gli avrebbe dato filo da torcere, avrebbe sconvolto le sue previsioni di consegna del lavoro all’editore, avrebbe acceso il desiderio di ulteriori approfondimenti, lo avrebbe avvinto al punto da fargli passare molte ore negli archivi e nelle biblioteche.

Ad un certo punto mi chiesi se Giraudo non avesse rinunciato all’impresa. Non lo ha fatto, ci ha semplicemente messo molto più tempo, e scommetto che Camillo ci si è messo di mezzo! Adesso il libro è finito. Ho scorso con piacere queste pagine, pensando a quanto mi sarebbe stato utile avere a disposizione anche questa prospettiva particolare, quando cominciavo la mia ricerca.

L’ho letto con interesse, immergendomi ancora una volta nella vita di questo affascinante pioniere e trovandoci anche storie e personaggi che non conoscevo.  Camillo emerge come sempre prepotente e geniale, immerso nelle culture di minoranza che gli hanno suscitato la non comune capacità di leggere la realtà in modo autonomo ed anticonformista. Aperto ai mondi diversi dal suo fin da giovanissimo, generoso e permeato da un senso di giustizia e di responsabilità profondo, che gli permette di superare prove difficilissime senza mai dimenticare le persone che gli stanno attorno e che a lui fanno riferimento.

Dei tanti episodi della sua vita uno mi rattrista particolarmente: a seguito delle leggi razziali non poté più  dirigere la sua azienda e gli levarono il passaporto. Me lo immagino, Camillo  senza passaporto, lui, che proprio dal girare il mondo, dallo studio, dall’osservazione delle altrui soluzioni tecnologiche e scientifiche aveva ricavato il forte impulso a creare macchine sempre più efficienti. Senza passaporto lui, che in tutto il mondo aveva clienti e spediva loro le sue macchine per scrivere ben imballate in casse di legno. Privato della libertà, lui che era insofferente alla più piccola delle costrizioni. Come un leone in gabbia avrà ruggito e poi, (mi pare di vederlo) subito si sarà messo a cercare soluzioni per far proseguire il suo progetto politico, sociale, aziendale, nonostante gli ostacoli e le ingiustizie.

Del resto …cadevano le bombe e lui sui suoi taccuini scriveva consigli per il dopoguerra e la ricostruzione. Guardava avanti. Oltre.

Nel futuro che i suoi figli avrebbero costruito sulle fondamenta del suo esempio.

Non so se Camillo ha fatto a Giraudo tanti scherzi quanti ne ha fatti a me, dettandogli tempi e rotte, istigandolo a modificare prospettive, ad approfondire questioni, cercare nuove testimonianze. Credo gli sia accaduto diverse volte. E’la caratteristica delle storie importanti: non sembra si possano mai afferrare compiutamente e chiedono continuamente di essere riraccontate da un altro nuovo punto di vista.

E, fortunatamente per gli autori, le belle storie chiedono continuamente di essere rilette.

Buona lettura.

Laura Curino

 

 

 

 

 

 

Camillo Olivetti non fu solo un brillante industriale che costruì la prima macchina da scrivere tutta italiana. Fu impegnato politicamente tra i fondatori del Partito Socialista Italiano, scrisse su numerosi giornali politici dell'epoca tra cui "La critica sociale"

Editò due settimanali: "L'azione Riformista" di Ivrea e "Tempi Nuovi" di Torino. I suoi scritti ci lasciano un quadro obiettivo di uno dei periodi più critici per il nostro Paese: Dalla fine del primo conflitto mondiale al consolidamento del fascismo. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò a studi religiosi abbracciando la dottrina Unitariana.

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